Clima: cinque conseguenze sul mondo del vino

Il cambiamento climatico corre, e nella sua corsa sconvolge secoli di tradizioni, mischia i territori della carta geografica e ne stravolge i contorni. Secondo Eric Asimov del Times, cinque almeno sono le conseguenze di un clima sempre più implacabile, destinate presto o tardi a rivoltare il mondo del vino.
Più zone per coltivare uva
Trent’anni fa, chi avrebbe scommesso su vini spumanti da uve coltivate in Inghilterra? Nessuno, probabilmente. Oggi non è più così, e contee come il Kent, l’East e West Sussex, l’Hampshire, il Dorset e il Cornwall affidano al metodo Champenoise le proprie future fortune. Del resto, i vigneti migliori nulla sembrano avere da invidiare a quelli del vicino Champagne, tanto da avere spinto da tempo maison del calibro di Taittinger e Vranken-Pommery Monopole a piantare vigna da queste parti. Ma non è solo l’Inghilterra a ospitare le future promesse del vino: la Danimarca può contare su almeno novanta vigneti, la Svezia è arrivata a quaranta e la Norvegia può vantarne almeno una dozzina. Dall’altro capo del mondo, poi, tra Cile e Argentina, i produttori si spingono sempre più all’interno della Patagonia.
I viticoltori puntano sempre più in alto
Quando possibile, i produttori piantano nuovi vigneti ad altezze prima considerate inadatte a ospitarli. Non una scommessa da poco, considerato che le possibilità di successo dipendono “dalla qualità dell’insolazione, dalla disponibilità di acqua e dalla tipologia dei vitigni” nonché dal rischio di grandine e tempeste improvvise. Ad altitudini superiori, del resto, non è detto che ci sia più freddo, ma di certo il caldo intenso ha vita più breve, le notti sono più fresche e gli sbalzi termici garantiscono maturazioni ottimali. L‘Argentina, in questo senso, è certamente all’avanguardia, data anche la peculiarità del territorio. “Nicolás Catena Zapata, nel 1990, è stato un pioniere, piantando il proprio vigneto Adrianna a quasi 1.500 metri, a piedi delle Ande” e anche se la sua scelta, allora, non era motivata dal cambiamento climatico ma dal desiderio di trovare terreni ottimali per ottenere vini più complessi, ha aperto comunque la strada a chi oggi, soprattutto nelle zone di Salta e Jujuy si è spinto a oltre 3.000 metri.
Cercare scampo dal sole
Barolo, Borgogna, Rodano, Reno e Mosella, Douro: in queste e altre zone, per secoli, i punti cardinali a cui puntare, prima di piantare un vigneto, sono sempre stati sud e sud-est, i più adeguati ad accogliere quel sole e quel calore necessari a portare a completa maturazione le uve. Ironia della sorte, il rischio adesso è l’opposto: la surmaturazione. Nella Yarra Valley, in Australia, i coltivatori, per lo stesso motivo, stanno iniziando a orientare i propri vigneti a sud, combinando l’orientamento con vitigni adeguati al nuovo contesto, come chenin blanc, nebbiolo e pinot nero.
Nuovi vitigni
Riuscite a immaginare il Bordeaux senza cabernet e merlot? Lo Champagne senza chardonnay e pinot nero? Forse no, ma i proprietari delle maison più prestigiose hanno da tempo familiarizzato con un quadro del genere. Sette vitigni, in via sperimentale, sono già stati selezionati per testarne le potenzialità, nell’evenienza che un giorno la bandiera delle cultivar tipiche della zona debba essere ammainata dai colpi del cambiamento climatico. Ecco allora, per i rossi, la touriga nacional, già star del vino Porto, il marselan, incrocio tra cabernet sauvignon e grenache, il castets, e l’arinarnoa, incrocio tra cabernet e tannat, a maturazione tardiva e dunque più adeguato alle gelate primaverili. Per i bianchi l’albariño, uva principale della zona nord occidentale della Spagna, candidata a sostituire il sauvignon blanc; il petit manseng, dal sud ovest della Francia, affine al sémillon e adatto sia a vini dolci sia secchi, e la liliorila, incrocio tra chardonnay e l’aromatica uva baroque. Nessuno di questi, per ora, figurerà in denominazioni prestigiose come Margaux, ma piccole quantità sono già ammesse nelle AOC Bordeaux e Bordeaux Supérieur.
Il meteo è morto
Per gli agricoltori, e in particolare i viticoltori, l’esperienza conta moltissimo. “Non esistono due anni identici, certo, ma nel tempo ciascun di loro ha avuto modo di assistere a molti eventi meteorologici differenti, imparando a rispondere nella maggior parte dei casi”. Adesso, però, non è più così. Gaia Gaja, figlia di Angelo Gaja, denuncia ad esempio il netto aumento dell’umidità estiva in Langa, che ha causato la riproduzione più rapida dei parassiti della vite. In California gli incendi e le alluvioni sono all’ordine del giorno, mentre in Australia già si studia “in che maniera il fumo degli incendi possa contaminare l’uva e i vini, alla ricerca di soluzioni tecnologiche che possano renderli comunque bevibili“. In Borgogna, nella prestigiosa Côte de Beaune, dopo diverse annate flagellate dalla grandine, è stato adottato un sistema di prevenzione: oltre alle classiche reti, particelle di ioduro d’argento riscaldato da spargere sulle nuvole.