È morto Steven Spurrier

Per la maggior parte del pubblico il nome di Steven Spurrier significa la leggendaria bataille de vins del 1976, quando i Cabernet e gli Chardonnay della California si ‘scontrarono’ rispettivamente con i cru classé del Médoc bordolese e i grand cru e premier cru borgognoni, vincendo in entrambi i casi. Il nome Steven Spurrier, in realtà, significa molto di più. Nel 1971 aveva aperto a Parigi una enoteca, Les Caves de la Madeleine, embrione di quella che poco dopo diventerà L’Académie du Vin, aperta proprio accanto: una scuola privata dov’era possibile degustare etichette da ogni parte del mondo, in tempi in cui la cosa non era affatto scontata. Da lì muoveranno i primi passi Michel Bettane e futuri grandi nomi del commercio inglese del vino. Consulente e critico di competenza enciclopedica, aveva recentemente fondato la Biblioteca dell’Académie du Vin, che raccoglie la maggior parte dei libri scritti ieri e oggi sull’argomento.
Sommelier AIS ad honorem
L’Associazione Italiana Sommelier l’aveva nominato nel 2010 Sommelier AIS ad honorem. Spurrier era ospite fisso degli eventi organizzati dalla UK Sommelier Association, con il presidente Andrea Rinaldi, anche referente del Club AIS di Londra. Quella sera, al Ritz, si dichiarò “molto onorato” di essere stato scelto per il riconoscimento, riservato a coloro che hanno dimostrato straordinari risultati nel proprio lavoro. Insieme a lui c’erano tre sommelier AIS, premiati come giovani ambasciatori del vino italiano: Alessandra Celio, senior assistant restaurant manager al Berkeley Hotel di Londra, Filippo Lanciotti, head sommelier dell’Anita di Cupra Marittima, e Carlo Ferrigno, food and beverage manager dell’NH Hotel du Grand Sablon, a Bruxelles. Un filo ideale tra maestri e allievi
The Judgment of Paris
Era il 1976 quando due vini californiani del 1973 batterono, in una degustazione alla cieca, alcuni grandi nomi di Francia. Erano lo Chardonnay di Chateau Montelena e il Cabernet Sauvignon della Stag’s Leap Wine Cellars. L’evento passò alla storia come The Judgment of Paris. Dietro c’era lui, Steven Spurrier, mercante di vini inglese. La degustazione, concertata insieme alla direttrice de L’Académie du Vin, Patricia Gastaud-Gallagher, in origine era stata organizzata per celebrare il bicentenario degli Stati Uniti presentando, a un pubblico di esperti, quelle ritenute le migliori espressioni del vino californiano, con l’obiettivo di fare il punto sulla loro qualità, superando le differenze della critica. A una settimana dall’evento, però, Spurrier, prevedendo pregiudizi nei confronti dei campioni, aggiunse – fatalmente, dirà Jancis Robinson – alcuni nomi blasonati della Francia, imprimendo una svolta irreversibile alla storia del vino moderno.
Bottle Shock
L’evento, com’era prevedibile, cambiò anche la vita di Steven, la cui fama, per i successivi quarant’anni rimarrà praticamente legata a quella giornata, inimicandogli per lungo tempo buona parte delle amicizie dell’establishment francese, che gli impedirono fino all’ultimo di ricevere l’Ordre du Mérite agricole, nonostante il suo conclamato amore per il vino francese, e la sua enorme competenza sull’argomento (French Country Wines e French Fine Wines, per citare due libri di cui è autore). Nel 2008 ne nacque persino un film, Bottle Shock, ma la bella interpretazione di Alan Rickman non servì a fargli digerire una pellicola – parole sue – “falsa, diffamatoria e denigratoria“, che lasciava intendere, sopra ogni cosa, una sua partigianeria verso i concorrenti californiani.
Una vita avventurosa
Quella giornata fu per lui croce e delizia, perché, come ha scritto la Robinson, in lui c’era molto di più di quel confronto alla cieca. La sua è stata una vita avventurosa, traboccante di entusiasmo, piena di cadute e di risalite: “ha aperto enoteche a Parigi, dove le sue varie iniziative imprenditoriali si sono arenate e lo hanno lasciato in bolletta; è entrato nel business del vino negli Stati Uniti, ma non è riuscito a cimentarsi con il three-tier system [il macchinoso sistema di vendita a tre livelli in vigore negli USA]; in Gran Bretagna, nel 1990, fu assunto brevemente per rinforzare il dipartimento vino di Harrods, ma fu licenziato per non essere stato abbastanza deferente con il proprietario, Mohammed al-Fayed”. E ancora l’investimento su Vinopolis, l’attrazione turistica vicino al London Bridge chiusa nel 2014. L’apertura, troppo in anticipo sui tempi, di una scuola di formazione sul vino in India, ma anche una in Giappone, che invece continua ad andare benissimo. E poi la cantina con vigneto fondata nel 2009 sulla collina del Dorset, di fronte casa. Un’altra sfida, l’ennesima, funestata da guai eppure portata avanti con l’ottimismo che pare averlo sempre contraddistinto, tanto che oggi le bollicine di Bride Valley sono riconosciute come eccellenti nel panorama vitivinicolo inglese. Munchies gli ha dedicato un breve video, un buon punto di partenza per scoprire quanto ricca e sfaccettata fosse la sua vita, tutta condotta in nome della diffusione della cultura del vino nel mondo. Così diceva pochi mesi fa: “ci sono due elementi vitali nel vino che non devono mai essere persi: il fatto che sia un oggetto culturale e il fatto che favorisca la convivialità […] la perdita del vino come oggetto culturale e conviviale sarebbe una perdita molto, molto grave per il mondo e spero che non accada mai.”