Federico Fellini: cent’anni di vino

Di Fellini, nato esattamente cent’anni fa, il 20 gennaio del 1920, si diceva che non fosse un grande bevitore. Non che non bevesse, tutt’altro, ma nella classifica degli ormai antologici “vizi” del divo Federico, il vino non sembra che occupasse un posto particolarmente alto della classifica. Anzi, Arcangelo Tranfa (Angelo), maître dello storico bar Canova, a Piazza del Popolo, giura di averlo visto bere per anni solo spremute di mandarini, che non gli faceva mai mancare, a differenza di Mastroianni, aficionado del Ballantine’s. Eppure nei film di Fellini, figlio fedele della Romagna cui deve i propri natali, assieme al cibo, il vino scorre prepotente, e diversamente non potrebbe essere, in una regione dove ancora oggi si dice “casa” ma s’intende “cucina”
La dolce vita
Alla prima della Dolce Vita, il 5 febbraio 1960 al Capitol di Milano, Fellini si beccherà uno sputo sul collo (come dichiarerà al Giorno). Innumerevoli le urla, gli inviti alla vergogna e l’indignazione. E inevitabile, ovviamente, il successo planetario. Di quel film, Fellini dirà poi: “mette il termometro a un mondo malato, che evidentemente ha la febbre. Ma se il mercurio segna quaranta gradi all’inizio del film, ne segna quaranta anche alla fine.” E a quella temperatura concorrono le bottiglie, l’alcol, i locali che costellano il sistema planetario della vita romana del boom economico. L’unico a non scaldarsi – dirà malevolo Fellini – sarà Mastroianni. Durante la famosa scena della fontana, girata a febbraio, la Ekberg, figlia di Svezia, rimase in acqua con l’abito da sera per ore; Mastroianni, invece, sotto gli abiti nascondeva una muta da sub, e nello stomaco il contenuto di un’intera bottiglia di vodka. “Quando abbiamo cominciato a girare – concluderà Fellini nella sua intervista a Repubblica – Marcello era completamente ubriaco!”.
8 1/2
Il vino, assieme ai sogni, ai ricordi, alle suggestioni, appare già in 8 1/2, girato nel 1963. È una frase sibillina trascritta dalla chiaroveggente Maya sulla lavagna, “Asa Nisi Masa“, dopo aver letto nella mente di Guido, ad aprire la via alle sue fantasie, alla grande fattoria della sua infanzia, dove le servette di campagna lavavano lui e altri bambini in grandi tinozze di vino.
Fellini Satyricon
Girato nel 1969, nella Roma “Prima di Cristo. Dopo Fellini“, come vuole la frase di lancio nel film, Fellini Satyricon omaggia il vino nella maniera più esagerata e svestita, abbinamento ideale a una Roma stravagante, surreale e ingorda che precede di quarant’anni quella cafona e rovinosa di Sorrentino. Così quando Encolpio ottiene indietro l’amato schiavo Gitone, la strada del ritorno verso casa sarà scandita da orge e bagordi di cibo e vino, e un copione analogo si ripeterà a casa di Trimalcione.Lontano dal personaggio creato da Petronio, che beveva “Falerno di cent’anni” perché “il vino dura più dell’uomo!“, quello di Fellini è un degradato e appiattito bestione, privo di quei bagliori di genio filosofico coi quali lo scrittore latino aveva arricchito la sua creatura.
Roma
Ruvido e arruffato il vino di Roma, girato nel 1972. Tra ricordo e finto documentario, racconto svanito e autobiografico della scoperta della Capitale da parte di un provinciale, la Roma di Fellini è quella che appena precede la seconda guerra mondiale. Minacce di guerra e camicie nere, i manifesti di Grandi Magazzini di De Sica al cinema, Fiorin Fiorello in radio. E affittacamere, e trattorie all’aperto, dove i bucatini all’amatriciana e la pajata annegano in generosi bicchieri, levati in alto dai romani di borgata, inno alla gioia e alla vita in comune, nonostante i tempi, nonostante tutto.
Amarcord
Alla tavola della famiglia Biondi si leva un fiasco di Sangiovese, e non potrebbe essere diversamente in quella Rimini degli anni Trenta che Fellini raccontò nel 1973. Era forse merito di quel vino sanguigno se in quella famiglia il vigore sessuale raggiungeva vette tali da superare abbondantemente l’aperta menzogna? Ne era probabilmente convinto il nonno, quello che per rassicurare il giovane Titta prima della sua precipitosa fuga, parlava a gesti inequivocabili de “el bab del mi bab” detto il “carnazza“, che fino a 97 anni, “zan zan“.
Casanova
Deformato, esasperato, reificato a macchina del sesso: il Casanova interpretato da Donald Sutherland nel 1976 sarà un tonfo al botteghino e massacrato da quasi tutta la critica (prima di essere riabilitato). Lontano mille miglia dalla classica figura del nobile ed elegante seduttore, questa maschera pallida e ingiallita è frutto dell’odio di Fellini per quella monumentale Histoire de ma vie alla quale il vero Giacomo affiderà le proprie memorie. Così il vino del suo Casanova non è quello sorseggìato da un arguto degustatore né da un elegante seduttore, ma il mezzo degradato attraverso il quale proverà a vincere una lugubre gara di sesso: un beverone in cui al vino di Spagna si uniranno diciannove uova crude, zenzero, cannella e chiodi di garofano. Solo Henriette restituirà un po’ di dignità alla bevanda, brindando all’amato Giacomo prima di piangerlo per sempre.
Gherardo Fabretti