I ventidue Tastevin AIS 2023
Giovedì 24 novembre l’edizione 2023 della guida Vitae è stata ufficialmente presentata. Durante la presentazione, ventidue vini sono stati insigniti del prestigioso Tastevin AIS, il premio che l’Associazione Italiana Sommelier conferisce a chi ha contribuito a imprimere una svolta produttiva al territorio di origine, a chi rappresenta un modello di riferimento di indiscusso valore nella rispettiva zona e a chi ha riportato sotto i riflettori vitigni dimenticati.
Ermes Pavese può vantare almeno due meriti: essere riuscito ad allevare a piede franco un vitigno quale il priè blanc, qui saldamente abbarbicato tra i 900 e i 1200 metri d’altezza, e averlo declinato in dieci tipologie diverse, compreso questo eccellente Metodo Classico.
In Piemonte questo è l’anno del freisa, un vitigno legato storicamente a Torino ma diffuso anche ad Asti e Chieri. Mimmo Capello, titolare della cantina La Montagnetta, è l’uomo del freisa per antonomasia, e con l’annata 2020 ne ha probabilmente fornito la migliore interpretazione in assoluto.
Il tempo per la cantina Mosnel è una variabile fondamentale, e non a caso questo Franciacorta Pas Dosé ha riposato 144 mesi sui propri lieviti, pur palesandosi ancora con timidezza giovanile. Il Franciacorta, del resto, non ha paura del tempo.
Nel nome di questo Metodo Classico a base di Manzoni bianco c’è già tutto il programma della cantina: Sogno nasce dal desiderio di produrre, per la prima volta, un rifermentato in bottiglia a base del vitigno che prende il nome dal suo creatore, Luigi Manzoni. Un rapporto molto stretto tra l’agronomo e la sua vigna, e tanti anni di prove hanno finito per realizzare il progetto. Un premio, quello del Veneto, a riconoscimento di un areale e di un vitigno non così famoso, e di una cantina giovane e di belle speranze.
Giulio De Vescovi, in Trentino, ha ricominciato a scrivere un libro di famiglia chiuso nel 1918 dal bisnonno, non a caso omonimo del nipote. Sempre alla ricerca di un vigneto abbastanza speciale da ospitare le sue barbatelle di teroldego, l’ha infine trovato nel vigna Lefron. I risultati gli sono valsi il nostro eccezionale riconoscimento.
L’Alto Adige ha deciso di premiare un’azienda che produce vini eccellenti, cui dedica la medesima cura, si tratti di linee premium o più basilari. I Sauvignon altoatesini, normalmente molto opulenti, trovano nel una declinazione più leggiadra. Le uve, fornite da un conferitore cui la cantina ha suggerito il vitigno più adeguato da piantare, provengono da terreni della zona nord di Bolzano, a un’altitudine di 630 metri, dove le piante affondano le radici su un suolo vulcanico che conferisce al vino una peculiare nota minerale.
Le vicende avventurose di Nicola Manferrari cominciano con una laurea in farmacia, da cui ben presto si allontana per lavorare in vigna. Il vigneto, di meno di un ettaro, piantato a malvasia istriana più di 70 anni fa, prima di Nicola è stato proprietà dei fratelli Bruno e Italo, i cui rapporti – per usare un eufemismo – non furono mai idilliaci. Nicola, dopo avere comprato il terreno, ha deciso di riunire idealmente i due fratelli in una bottiglia, a base di un vitigno che è al contempo testimone di una tradizione secolare e di un territorio.
Linda è la figlia di Stefano Salvetti e Laura Angelini, proprietari di questa piccola azienda fondata nel 1995 nei Colli di Luni. Il nome della cantina vuole riunire allegoricamente i tre membri della famiglia: Stefano, la pietra; Laura, il focolare; Linda, il calore del focolare. Studiosa di antropologia del turismo e del vino per passione, si occupa del Marketing e della Comunicazione dell’azienda, insieme alle Pubbliche Relazioni nell’accoglienza e nelle degustazioni. Veri monumenti del vermentino, Stefano e Laura hanno dedicato la vita all’approfondimento delle caratteristiche e delle potenzialità del vitigno, nonché della sua relazione con il mare.
Ruggero Morandi ha cominciato la sua attività oltre vent’anni fa, dedicandosi alla coltivazione di vitigni tipici dei colli bolognesi, quale la barbera. Un clone particolarmente fortunato, insieme alle eccellenti qualità della zona e alla grande costanza e passione di Ruggero ha permesso al vino di esprimere il massimo delle sue caratteristiche.
Stefano Bariani produce vino a Brisighella, noto per il sangiovese ma dove anche l’albana ha trovato terreno fertile per esprimere le sue grandi qualità, come dimostra questo vino, perfettamente rispondente alle richieste di chi cerca eleganza e finezza ma anche corrispondenza con le caratteristiche del territorio. Il nome Fiorile, ispirato dal calendario rivoluzionario francese, all’interno del quale indicava il periodo dal dal 21 aprile al 20 maggio, non è stato scelto a caso: è in primavera che la vitalità della natura esplode, con i suoi profumi e la sua energia, caratteristiche presenti anche nel suo vino.
Silvano Marcucci, storico collaboratore di Fontodi, porta a casa l’eccellente risultato del Flaccianello della Pieve, che in un’annata generosa come la 2019 non poteva che raccontare l’eccellenza di quella Panzano che combina alta quota dei vigneti su terreni argillosi e calcarei e una concentrazione di luce maggiore rispetto ad altre zone vicine, un microclima unico quindi caratterizzato da importanti differenze nelle temperature tra il giorno e la notte.
Il Montefalco Sagrantino Molino dell’Attone è uno dei vini perfetti per raccontare l’evoluzione del vitigno sagrantino, oggi molto più garbato ed elegante del passato, grazie a una maggiore padronanza nella gestione della materia. Ciò su cui è ancora necessario lavorare – dice Filippo Antonelli – è l’individuazione più precisa dei terroir della denominazione, una ricerca che lo coinvolge personalmente, con l’individuazione di un preciso appezzamento – il Molino dell’Attone appunto – molto diverso per caratteristiche dallo storico cru aziendale Chiusa di Pannone.
L’azienda Velenosi, che oggi produce 2 milioni e mezzo di bottiglie, ha il grande merito di avere reso famosa la zona del Piceno nel mondo, dimostrando che una grande azienda non solo può produrre eccellenti vini ma anche diventare ambasciatrice di una denominazione e di una tradizione storica. Venduto in settanta mercati, come spiegano Marianna e Matteo Velenosi, nonostante la difficoltà di comunicare un territorio di cui molti ignorano la vocazione rossista, data la vicinanza alle zone deputate al verdicchio, la soddisfazione di poter raccontare un’etichetta e i suoi collegamenti al territorio è sempre grande.
Michael Formiconi si è dedicato a una denominazione, quella del Cesanese d’Affile, che assomma in totale solo dieci ettari vitati. Poco, certo, ma la crescita entusiasmante del territorio e gli ottimi risultati incassati dall’azienda fanno più che ben sperare per il futuro.
Emidio Pepe ha iniziato la sua avventura nel 1964, un tempo in cui il vitigno trebbiano era guardato male dalla maggior parte dei produttori. Emidio ne è stato, invece, tra i promotori più entusiasti, come ricorda la figlia Sofia, capace di raccontare il mondo abruzzese, quello delle colline Teramane e del Gran Sasso.
Borgo di Colloredo si trova a Campomarino, sulla costa adriatica, dove i rilevanti sbalzi termici rendono eccellenti le uve montepulciano e aglianico, due cavalli di razza alla base di un vino elegante e ricco.
Quello conferito a Masseria Felicia è un premio dedicato a un vino e a una storia, quella di una cantina che ha contribuito a riscrivere la storia della denominazione Falerno del Massico. Il merito è tutto di Maria Felicia Brini, improvvisamente scomparsa un anno fa, che ha raccolto il testimone del papà Sandro e del compianto enologo Nicola Trabucco. Sarà Maria a costruire un progetto enologico ambizioso oggi portato avanti dal marito Fabrizio Fiorenza.
Luigi Rubino ha da tempo dedicato le proprie attenzioni al vitigno susumaniello, vera bandiera del Brindisino. Fondata nel 1991, la cantina ha iniziato i propri tentativi nel 1999, partendo da un vecchio filare, imparando a mettere da parte vecchie abitudini della tradizione, dalla vendemmia contemporanea con il precoce negramaro, all’abbandono del suo impiego come miglioratore del negroamaro. Amante delle sabbie e del mare, il susumaniello è una stella nascente dell’enologia pugliese, e nelle mani di professionisti quali i Rubino, ha davanti a sé una eccellente carriera.
Quella del pinot nero in Basilicata fu una scommessa del compianto Giuseppe Leone, fratello di Paride. Consapevole della storica presenza del vitigno in regione, e della contiguità genetica con l’aglianico, ne piantò alcuni filari a 800 metri di altezza. Il Calata delle Brecce 2019 di Terra dei Re, ottenuto con scrupolosa selezione degli acini, quest’anno svela doti di rilevante complessità gusto-olfattiva, meritevole del Tastevin AIS.
Il nome Mabilia, racconta Vincenzo Ippolito, appartiene alla principessa longobarda che fu seconda moglie del normanno Roberto D’Altavilla detto il Guiscardo, e alla quale fu concesso il possesso del Marchesato di Crotone. L’idea era quella di legare l’immagine di una principessa al loro elegante rosato, una tipologia che in Calabria è sinonimo di bere quotidiano e che già tanti riconoscimenti ha incassato. L’essere stati scelti tra tanti blasonati rosati calabresi per Vincenzo è motivo di grande soddisfazione.
Il compianto Andrea Franchetti, filosofo del vino, protagonista della territorialità e supporter della prima ora delle contrade etnee, ha riversato nel Franchetti 2020, blend di cesanese d’Affile e petit verdot, una miscela eccezionale di territorialità ed eresia, offrendo una diversa espressione del vino dell’Etna, sinonimo di sensibilità e cultura enologica.
Giovanna Chessa, artista globale del vitigno vermentino, coltiva e vinifica le sue uve nella parte nord-ovest della Sardegna, vicino a Sassari. La sua capacità di reinterpretare un copione noto in regione come può essere quello del vermentino, che, con matura eleganza, riesce a distinguersi nel mare magnum della denominazione regionale, vale un meritatissimo Tastevin.