Non allungheremo il vino con l’acqua

Un comunicato della Coldiretti del 7 maggio, poi ripreso dal Sole 24 Ore, ha dato il via in pochi giorni a una polemica fondata su una notizia secondaria: due righe di un foglio di lavoro del 16 aprile del comitato agricoltura della UE, dove si discute, tra le altre cose, della possibilità di aggiungere acqua ai vini che sono stati dealcolizzati, evidenziando il processo in etichetta. Da qui, con un ardito salto interpretativo, la notizia in Italia si è trasformata in un minaccioso rischio: l’Unione Europea vuole allungare il vino con l’acqua, creando “un precedente pericolosissimo e che metterebbe fortemente a rischio l’identità del vino italiano e europeo“.
Una questione più articolata
La questione, come sempre, è più articolata e parte da un ambito più ampio: i negoziati in corso tra i paesi UE per definire il nuovo corso della Politica Agricola Comune (la PAC) che dovrebbe avere inizio nel 2023, previo accordo definitivo tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, i due organi legislativi dell’Europa. La questione del vino dealcolizzato è una piccolissima parte dei temi che compongono la PAC, che viene attuata attraverso concrete misure di gestione, incluse quelle che decidono sulla commercializzazione e l’etichettatura dei prodotti, vino incluso. Da circa un anno si è iniziato a lavorare su alcune proposte di modifica del Regolamento n. 1308/2013, per l’inserimento delle categorie “vino dealcolizzato” (con titolo alcolometrico non superiore a 0,5% vol.) e “vino parzialmente dealcolizzato” (con titolo alcolometrico compreso tra 0,5% e 9%). L’idea è di armonizzare a livello europeo due tipologie di prodotto le cui definizioni e caratteristiche (e la loro stessa esistenza) sono oggi gestite dalle singole leggi nazionali: in Spagna e Germania, ad esempio, sono definizioni legali; in Italia no. I pareri dei due organi legislativi sono diversi e riflettono le posizioni maggioritarie degli stati cui i membri appartengono: il Parlamento vorrebbe regolare la dealcolizzazione solo per i vini da tavola, mentre il Consiglio vuole estendere la possibilità anche ai vini a denominazione. Possibilità che non significa in alcun modo obbligo: i regolamenti UE sono mediati dalle leggi nazionali, e dai disciplinari di produzione dei singoli consorzi.
Motivi, opinioni e futuro del vino dealcolizzato
La proposta di regolamentazione è caldeggiata dai paesi del Nord Europa, dove le bevande analcoliche sono molto diffuse, sia per le campagne di disincentivazione al consumo di alcol sia per le crescenti preoccupazioni salutiste, e ha trovato una solida sponda nei produttori più grandi, che vedono una occasione preziosa per vendere vino nei ricchi mercati a maggioranza musulmana, soprattutto Arabia Saudita e Indonesia. A favore dell’utilizzo della parola “vino” solo per i vini dealcolizzati da tavola, come vorrebbe la maggioranza del Parlamento europeo, c’è Paolo De Castro, europarlamentare del Partito Democratico e Matilde Poggi, presidente della Federazione italiana vignaioli indipendenti. L’Unione Italiana Vini, al contrario, è più possibilista. Le stesse modalità di dealcolizzazione sono tutt’ora oggetto di confronto: la pratica si basa di norma sulla distillazione sottovuoto a bassa temperatura, oppure su filtrazioni a cartuccia o tramite membrana osmotica, mentre l’aggiunta di acqua (pietra dello scandalo del comunicato di Coldiretti) come coadiuvante del processo è considerata una soluzione aliena al mondo del vino. Sulla regolamentazione dei vini dealcolizzati sarà necessario un lungo compromesso fra Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea, e Commissione Europea, di cui poco o nulla si saprà almeno fino all’inizio di giugno.