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Accuse di razzismo per la corte dei Master Sommelier

eventGiugno 29, 2020
editDi Redazione AIS
folder_openIn: Notizie

Non è un buon periodo per la Corte dei Master Sommelier. Prima i 23 diplomi ritirati dopo la scoperta di una ‘talpa’, durante una sessione del 2018, e adesso le accuse di scarsa apertura nei confronti dei concorrenti non bianchi, riportate dal San Francisco Chronicle. Tutto parte da un video pubblicato il 16 giugno su Instagram da Tahiirah Habibi, sommelier professionista di Miami. Nel video, di dieci minuti, tra le altre cose, la Habibi afferma che durante l’esame i supervisori abbiano raccomandato a lei e agli altri concorrenti di rivolgersi espressamente agli esaminatori con l’appellativo di master. Una prassi comune durante l’esame, ma ciò che a un italiano può sembrare un termine positivo, o almeno innocuo, non è apparso come tale alla Habibi, e non solo a lei.In lingua inglese, infatti, master è anche l’appellativo con cui gli schiavi si rivolgevano ai loro proprietari, e rimanda più in generale a un rapporto di dominio. Lì dove per le orecchie di qualcuno c’è un maestro, per altri, insomma, potrebbe esserci un padrone.

Le parole sono importanti

L’idea di un master inteso come padrone, del resto, non appartiene esclusivamente alla cultura afroamericana. James Hetfield urlava Obey your master! in Master of puppets, là dove il ‘master’ era la dipendenza e i ‘puppets’, per estensione, i propri schiavi. Le disperate genuflessioni di Tom Waits nei panni di Thomas Renfield nel Dracula di Coppola, condite a ogni passo da lacrimosi appelli al suo ‘Master’ sono parte della storia del cinema. I ‘master’ poi abbondano anche nel più recente Django Unchained di Tarantino, e l’elenco potrebbe andare avanti a lungo. Ammesso, dunque, il lampante significato della parola per un madrelingua inglese, è bastata quella rapida raccomandazione a fare uscire dai gangheri la Habibi? Nonostante avesse superato il primo passo verso l’ambita nomina, si è ritirata alla prova di servizio solo perché non avrebbe tollerato l’idea di dover servire il vino rivolgendosi all’esaminatore come master? No. C’entra anche il problema di una istituzione che, parole sue, “non si rende conto di avere un problema con la scelta delle parole? Anche. C’è soprattutto la pesante accusa secondo la quale un consesso di sommelier a schiacciante maggioranza bianca giudica secondo un metro che più bianco non si può. 

Più bianco non si può

Le parole della Habibi, fondatrice della Hue Society, un’associazione che supporta i lavoratori afroamericani del settore vino, potrebbero sembrare isolate, ma ben presto si sono aggiunte quelle dell’ex Master Sommelier Richard Betts, che ha da poco restituito la propria spilla non solo per lo scandalo esami del 2018 ma anche in aperta protesta con un sodalizio giudicato anche da lui come “molto molto bianco e molto molto privilegiato“, dove sarebbe giusto “fare di più in termini di apertura a comunità differenti, e quando dico differenti, intendo in termini di etnia, privilegi e disponibilità economica“. Dichiarazioni che si affiancano a quelle della Habibi chiarendone meglio le motivazioni. Le scuse non si sono fatte attendere, e Devon Broglie ha già annunciato cambiamenti, quantomeno nel campo degli appellativi. Su una composizione della frattura, però, c’è poco da sperare. Alle accuse della Habibi e di Betts si sono presto aggiunte quelle di Brian McClintic, noto per il documentario Netflix “Somm“, anche lui dimissionario. Alla Corte, insomma, servirà molto di più di un cambio del cerimoniale per superare questo momento. La Corte UK, intanto, ha diramato un post su Facebook dove prende le distanze dagli ipotetici comportamenti della sua sezione americana 

Gherardo Fabretti

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