Il Chianti Classico scommette sull’Italia

Carlotta Gori, direttore del Consorzio Vino Chianti Classico, l’aveva detto a Winemag: dopo essersi concentrati sui mercati esteri, il Gallo Nero vuole tornare sulle tavole italiane. Parte tutto da Milano, dove poco più di una settimana fa Il signore del Chianti Classico, un grande banco di degustazione nato dalla collaborazione tra Consorzio e Associazione Italiana Sommelier, ha fatto registrare numeri promettenti nei saloni del Westin Palace. Che sia la città meneghina l’epicentro delle nuove politiche di marketing lo dimostra il regalo al sindaco Giuseppe Sala: una bottiglia datata 1946, lo stesso anno della conclusione dei lavori di ristrutturazione del Teatro alla Scala. Un chiaro messaggio: come quella primavera di settant’anni fa la città guidata dalla bacchetta di Arturo Toscanini mostrava di voler ripartire, così oggi la rincorsa del Consorzio verso la Penisola parte dalla stessa città.
Un mercato quasi del tutto estero
Sono gli Stati Uniti, da un quindicennio, il mercato più importante per i vini del Chianti Classico: il 34% delle vendite totali si realizza qui. Praticamente una bottiglia su tre. L’Italia, seconda con il 23%, precede il Canada, che assorbe l’11% degli acquisti. A conti fatti, il 77% delle bottiglie è appannaggio dell’estero. Una tendenza che ora si vorrebbe modificare, puntando sempre più sul vitigno d’elezione, il sangiovese, sul biologico, sul progetto delle menzioni geografiche e su un rapporto qualità-prezzo assai invitante. Duplice l’obiettivo: convincere (soprattutto) le generazioni meno verdi, la cui memoria è ancora legata al vino di passati decenni, più duro e magro, e abituare i consumatori alla distinzione tra due denominazioni differenti: Chianti e Chianti Classico.
Autoctono e verde
Nel periodo dell’autoctono è bello, i vigneti di sangiovese crescono esponenzialmente, a detrimento degli internazionali; così la percentuale di vini certificati biologici, ormai al 40%. La comunicazione punta su temi verdi e sul valore aggiunto della biodiversità in particolare, con l’augurio che i consumatori premino una regione di 70.000 ettari in cui i vigneti occupano solo il 15% dello spazio, lasciando il resto a boschi e ulivi.
Le menzioni geografiche aggiuntive
Sarà il 2020, con ogni probabilità, l’anno delle MGA, riservate a quella ristretta percentuale di bottiglie appartenenti al vertice qualitativo della denominazione, la Gran Selezione, a cui appartiene meno del 10% dell’intera produzione. Sarà allora più agevole intraprendere un progetto comunicativo fondato sulla felice disomogeneità del territorio, sulle differenze – ad esempio – tra i ruggenti Chianti di Castelnovo Berardenga e quelli più proporzionati di Castellina, tra i duri vini di San Casciano, spesso da attendere qualche anno in cantina, e i finissimi figli della zona di Lamole. La partita è ancora in parte da giocare, ma è indubbio che il Consorzio lo stia facendo “a cresta alta”.
Gherardo Fabretti