La rivincita del Barbaresco

Barbaresco. Quella parola, una cinquantina d’anni fa, per molti non avrebbe avuto dignità di comparire in uno dei più noti incroci di New York, quella Times Square famosa per i suoi grandi display colorati. Eppure, è su uno di quegli schermi che la parola è comparsa pochi giorni fa, per annunciare anche nel Nuovo Mondo l’arrivo dell’annata 2017. È questo il frutto di una consapevolezza che – si spera – sia ormai maturata nel territorio: quella secondo la quale uniti, pur con le proprie peculiarità, si va molto più lontano che divisi.
BBWO
L’occasione di vedere la parola Barbaresco ondeggiare sui led della square newyorkese è stata la prima edizione del Barolo & Barbaresco World Opening – BBWO, l’iniziativa promozionale annunciata durante lo scorso Vinitaly e organizzata dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani. La due giorni nella Grande Mela, 4 e 5 febbraio, è la prima tappa di un viaggio che avrà come tappe successive Shangai (2021) e la West Coast statunitense (2022).
Il vino che brillava per i meno
A differenza del Barolo, il Barbaresco brillava per i meno. Ma i meno potevano costituire comunque una forza. Lo aveva detto tempo fa Angelo Gaja, che di quella fetta di terra fra Treiso, Neive, San Rocco Seno d’Elvio e la cittadina da cui prende il nome, se ne intende. Cugino meno fortunato del Barolo, il Barbaresco ha iniziato a stare eretto quando già il primo muoveva agevolmente i suoi passi. Fu Domizio Cavazza, già preside della Regia Scuola Enologica di Alba, il suo padre ideale: c’era lui, già dalla fine dell’Ottocento, a tenergli le mani perché recuperasse il tempo perduto.
I Produttori del Barbaresco
Determinato a ostacolare la diffusa opera di speculazione sull’acquisto delle uve, e le frodi commerciali, Cavazza voleva produrre vini di qualità in zona, appoggiandosi a una cantina capace di gestire la situazione in maniera adeguata. Nascono così le Cantine Sociali di Barbaresco, frutto dell’iniziativa dello stesso Cavazza. Nel 1894, dopo avere riunito nove membri, tra agricoltori e proprietari, aveva messo loro a disposizione le cantine del Castello, già di sua proprietà. Consapevole che il nebbiolo coltivato in quella zona vantava caratteri propri, aveva poi iniziato a denominare il vino con il nome del paese, e a realizzare una carta coi nomi dei vigneti e dei rispettivi proprietari: l’antenata delle attuali MGA. Morto nel 1913, la cantina sociale si avviò rapidamente alla chiusura, fin quando, nel 1958, la volontà di un parroco, Don Fiorino Marengo, riuscì a mettere assieme diciannove volontari, fondando la Produttori del Barbaresco «per la qualifica e garanzia del Barbaresco». Tra loro nomi ormai storici, come il farmacista Ugo Maffei, il viticoltore Riccardo Cravanzola e il compianto Celestino Vacca, già storico direttore e presidente della cantina, riconosciuta ormai tra le migliori cantine sociali del mondo.
Giovanni Gaja
Quando Angelo Gaja entra nell’azienda di famiglia, nel 1961, la cantina era già la più importante della denominazione. Il merito era del papà Giovanni, un visionario del vino che a 27 anni si era messo in testa non solo di produrre un Barbaresco di qualità, ma di produrne uno che riscuotesse più successo del Barolo. Il “geometra” Gaja – come ci teneva a firmarsi – contro il sentire comune di allora riduce drasticamente le rese (più che un controsenso, un vero e proprio peccato contro Dio e la natura), si rifiuta di imbottigliare nelle annate sfortunate, e anticipa l’abolizione della mezzadria trasformando i propri mezzadri in salariati, così da avere le mani completamente libere. Comprendendo poi l’importanza del nome come garanzia di qualità, pianta il suo cognome in bella vista sulle etichette, e fissa per i propri vini un prezzo molto più alto della media: 1250 lire per il suo vino migliore, perché la qualità ha un costo.
Guido da Costigliole
Un messaggio compreso anche dalla lungimirante cantina sociale, che nel 1971 stringe un accordo con il rinomato ristorante Guido da Costigliole, a Santo Stefano Belbo: acquistare l’intera produzione di Rabajà, uno dei cru più storici, famosi e ricercati del Barbaresco. Frequentato dal bel mondo, il ristorante diventò subito il veicolo ideale per diffondere il mito del loro vino nei luoghi che contavano di più.
Bruno Giacosa
In realtà, già nel 1966, un altro uomo di Langa aveva messo l’occhio non solo su Rabajà, ma anche su un altro eccezionale cru, Asili: si chiamava Bruno Giacosa. Négociant di grande talento, Bruno, ancor prima di fondare la propria cantina, imbottigliava vino. Lo faceva dal 1961, acquistando le uve da produttori fidatissimi, e dimostrando un talento eccellente nell’assaggio, dell’uva ancor prima che del vino. Nel 1964 la svolta, con il primo imbottigliamento di un vino proveniente da un singolo vigneto, con tanto di nome del cru sull’etichetta. Il primo mai realizzato in tutto il Piemonte: Santo Stefano di Neive d’Alba.
Gli Stati Uniti
Nel 1972, intanto, Angelo Gaja sbarca per la prima volta in America. “Negli USA i vini italiani, allora, avevano un’immagine cheap and cheerful. Fu così che dovetti inventarmi una strategia di marketing per sostenerli”. Comprendendo quanto gli Stati Uniti potevano contribuire alle magnifiche sorti e progressive del Barbaresco, Angelo capisce subito l’enorme forza di penetrazione che poteva assicurargli la stampa statunitense, che da tempo insidiava l’egemonia di quella britannica, troppo fossilizzata su un lessico esclusivo e oscuro, da addetti ai lavori. Il suo impegno nelle pubbliche relazioni è pari alla sua intraprendenza enologica, assecondata dall’enologo Guido Rivella. Da allora il Barbaresco non sembra essersi più fermato, anzi, a sentire Gaja, persino il cambiamento climatico in atto congiura al suo successo: le temperature più alte “aiuteranno il Barbaresco a mettere i muscoli” e a tornire col tempo il proprio fisico, allontanando il tempo in cui, a seconda dell’annata, raggiungere la gradazione minima non era scontato. Intanto, mentre si lavora alacremente sulle MGA, sulla riconoscibilità, sui legami col proprio territorio, i produttori si fermano due giorni a festeggiare il successo di decenni di impegno. Ciascuno con le proprie peculiarità, ma insieme, come il nebbiolo alla sua terra.
Gherardo Fabretti