Vitigni immutati
Quanto sono antiche le varietà che beviamo ogni giorno? Se l’è chiesto Nathan Wales, ricercatore dell’Università di York, dopo avere portato a termine alcuni scavi in Francia. Nathan ha recuperato 28 semi d’uva, risalenti a epoche diverse. Alcuni, vecchi di quasi mille anni, erano geneticamente identici a quelli attualmente impiegati in giro per il mondo. La squadra di archeologi coordinata dal ricercatore ha individuato sei coppie o gruppi separati di semi geneticamente uguali, a volte trovati a centinaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro. I cloni si erano quasi certamente diffusi per mano dell’uomo.
Un esempio? Dici savagnin e pensi al Jura, ai vin jaune e ai vin de paille, figli di tradizioni vinicole regolate solo nel XX secolo; la loro origine, però, è sempre stata difficile da collocare in un punto preciso della storia enologica. La recente pubblicazione su Nature, figlia del lavoro di Wales,non sembra lasciare dubbi sul fatto che il savagnin bevuto oggi fosse uguale a quello vinificato oltre mille anni fa nelle stesse zone. Ancora: i grappoli di syrah e pinot nero diffusi in Europa sono parenti strettissimi di quelli regolarmente vendemmiati nell’antica Roma.
La notizia, nonostante abbia un che di affascinante, quasi di romantico, in realtà non è per niente rassicurante, come spiega Zoë Migicovsky, ricercatrice di genetica dell’uva alla Dalhousie University, in Canada: “la ricerca dimostra la profonda vulnerabilità dell’attuale modo di coltivare l’uva, e rivela la nostra ossessione nei confronti di vitigni che devono rimanere immutabili e dotati di pedigree”. Una visione corta, perché “l’ambiente, al contrario, cambia, e la limitata diversità genetica delle piante le rende suscettibili alle nuove, estreme, condizioni meteorologiche, oltre ad agenti patogeni e parassiti”. La conseguenza? “Potremmo aver bisogno di usare più prodotti chimici, man mano che le minacce avanzano”. L’alternativa? Diversificare, puntare su vitigni differenti, incoraggiare l’enorme biodiversità tipica della Vitis Vinifera, come già gli scienziati si auguravano sulla stessa rivista, tempo fa. Un compito di certo non facile.