AIS Veneto
La sede AIS in Veneto e le sue delegazioni
Il territorio
Il lento scivolare delle gondole nella laguna e l’allegria delle maschere nelle calli veneziane a Carnevale, i vetri colorati di Murano e i merletti di Burano, le città d’arte e i piccoli borghi, le vette dolomitiche e le morbide colline vicentine costellate di ville palladiane, sono immagini che riportano immediatamente al Veneto, terra ricca di storia che custodisce tesori di ineguagliabile bellezza, che alla fine del XX secolo è stato il protagonista del cosiddetto miracolo economico del Nord-Est.
- 7 Delegazioni regionali
- 4.000 Soci iscritti
- 60 Corsi ogni anno
- 150 Eventi regionali
- 11.000 Bottiglie stappate
- 500 Nuovi sommelier ogni anno
Il Veneto e il vino
Qualità e quantità spesso non vanno d’accordo, ma questa regione è un’eccezione. Un vigneto cresciuto del 10% negli ultimi 10 anni e sempre più concentrato sui vitigni a bacca bianca, eccellenze indiscusse come l’Amarone e alcuni Passiti, primo posto in Italia nella produzione di vini a Denominazione di Origine e nell’export con un trend in continua crescita – grazie soprattutto alle varie denominazioni di Prosecco – fanno di questa regione uno dei poli trainanti della vitivinicoltura italiana.
Con una superficie vitata di quasi 78.200 ettari, nel 2013 il Veneto si pone al primo posto della produzione nazionale con circa 8.989.000 ettolitri di vino – il 52.7% DOP e il 40.7% IGP – rappresentato per il 70% da vini bianchi. Inoltre, quattro DOC venete sono tra le prime dieci per produzione: Prosecco, Valpolicella, Conegliano Valdobbiadene e Soave.
La glera (27.7%) – sinonimo di prosecco introdotto dopo il riconoscimento del Prosecco DOC nel 2009 – è il vitigno più diffuso in Veneto, simbolo della sua moderna viticoltura. Proveniente da Prosecco, paese del Triestino dal quale prende il nome, a partire dal 1876 – anno della fondazione della Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano – questo vitigno ha trovato l’habitat ideale nelle colline trevigiane, dove si sono diffusi diversi biotipi, attualmente riconducibili al prosecco tondo e prosecco lungo. I suoi grappoli grandi, lunghi e spargoli, a maturazione tardiva, con piccole percentuali di vitigni autoctoni come verdiso, bianchetta e perera, danno vini agili, freschi e piacevoli, profumati di frutti a polpa bianca e fiori bianchi.
L’uva a bacca bianca più importante per la produzione di vini fermi di qualità è la garganega (13.1%), portata in Veneto dagli Etruschi, che oggi domina le colline di Soave e di Gambellara. Nonostante il lungo sviluppo biologico e le produzioni generose, le uve offrono ai vini un interessante equilibrio tra estratto, zuccheri e acidi, oltre a gradevoli sfumature di fiori di sambuco, frutta matura, tè e fieno, con ottima freschezza e finale ammandorlato; nei suoli calcarei prevalgono sentori floreali e di mela limoncella, in quelli vulcanici note minerali e di frutta esotica.
Il verduzzo trevigiano (1%) è attualmente in fase di rilancio, dà lievi profumi di pera e albicocca matura e un sapore piacevolmente citrino, ed è diffuso nelle province di Treviso e Venezia, dove si distingue dal verduzzo friulano o dorato, per le evidenti sfumature verdoline che offre al vino.
Il manzoni bianco o incrocio manzoni 6.0.13 è stato ottenuto da riesling renano fecondato con polline di pinot bianco negli anni ’30 dal Professor Luigi Manzoni, nell’ambito di un programma di miglioramento genetico dell’Istituto Tecnico Agrario di Conegliano. Questo vitigno concentra acidi e zuccheri e dà una forte impronta varietale di fiori bianchi e frutta tropicale, ma la scarsa produttività ne ha limitato la diffusione: in Italia sono solo circa 430 gli ettari vitati e, di questi, 361 si trovano in Veneto, soprattutto nel Trevigiano.
Conosciuto anche come pavana bianca, pignola bianca e trevisanela, la bianchetta trevigiana è un vitigno che, data la maturazione precoce, era utilizzato per ingentilire il Prosecco nelle annate più fredde. Raramente vinificato in purezza, dà un vino semplice e fresco.
Il durello o durella è un vitigno antico riconducibile alla durasena – già citata alla fine del ’200 – e probabilmente prende il nome dalla buccia coriacea dei suoi acini, anche molto ricca in tannini. Dotato di buona vigoria e capacità di adattamento a terreni di origine vulcanica, è diffuso soprattutto nei Monti Lessini, in provincia di Vicenza e Verona. Grazie all’ottimo corredo in acidità, è impiegato per la produzione di spumanti metodo Classico e Martinotti, ai quali regala richiami di gesso e iodio tipici del terroir, oltre a note di sambuco, biancospino ed erbe selvatiche.
La vespaiola o bresparola è un vitigno autoctono coltivato in qualche decina di ettari nella zona di Breganze, il cui nome sembra derivare dalla predilezione delle vespe per la ricchezza in zuccheri di queste uve, da cui si ottengono vini secchi freschi e soprattutto il delizioso Torcolato.
Oltre al moscato bianco, più nobile e con buccia sottile, utilizzato per la produzione di vini dolci, spumanti o passiti dall’inconfondibile aromaticità, si trova soprattutto il moscato giallo, con buccia più spessa, coltivato nell’area dei Colli Euganei, qui chiamato sirio, a ricordarne la provenienza dal bacino orientale del Mediterraneo, o fiori d’arancio per l’inconfondibile profumo di zagara dei suoi vini.
I vitigni internazionali si sono ritagliati uno spazio di un certo interesse: pinot grigio (10.2%) e bianco (1.2%) danno vini freschi e fini, più strutturati e profumati, con tipici ricordi varietali o vanigliati se elevati in barrique e se ottenuti da chardonnay (3.8%) e sauvignon.
I vitigni a bacca nera risentono fortemente dell’influenza bordolese: merlot, cabernet sauvignon e franc, sono le varietà su cui si è puntato per il rinnovamento del vigneto dopo la devastazione fillosserica, alle quali si sono aggiunti pinot nero, carmenère e malbec.
Fino a qualche decennio fa il merlot (9.6%) era il vitigno più coltivato in Veneto, oggi lo è tra quelli a bacca nera. Vinificato in purezza dà vini morbidi, fruttati e vegetali, da bere in gioventù, ma che acquistano struttura e complessità nelle versioni Riserva, specialmente dopo la permanenza in legno.
Cabernet sauvignon (4.3%) e cabernet franc (3.1%) seguono la stessa filosofia produttiva, anche se i migliori risultati si ottengono dal classico taglio bordolese oppure con il metodo veneto dell’appassimento parziale.
Un discorso a sé merita il carmenère, perché l’Italia, con la provincia di Treviso, è il secondo produttore al mondo dopo il Cile. Confuso per più di un secolo con il cabernet franc, di recente ha visto riconoscere la propria originale identità, che offre una buona struttura e un profumo tipicamente erbaceo, con sentori di more e pepe nero
Ancora più significativi sono i vitigni che rientrano nell’uvaggio del prezioso Amarone. La corvina veronese (8.3%) o cruina o corbina o corniola, è la varietà principale e più pregiata negli uvaggi del Valpolicella e del Bardolino. Le sue doti migliori? Colore, acidità, concentrazione e ottima resa in appassimento, sentori di viola e un’inconfondibile nota di ciliegia.
La rondinella (3.5%) – il cui nome deriva dal colore nero-violaceo della buccia che ricorda la livrea delle rondini – dà sapidità e struttura, mentre la molinara (0.7%), presente esclusivamente nel Veronese, offre una buona mineralità e deve il nome alla grande quantità di pruina sugli acini, che sembrano cosparsi di farina bianca.
Il corvinone (1.2%) o cruinon, è un vitigno facoltativo dei vini della Valpolicella ed è coltivato in circa 900 ettari, con caratteristiche simili al precedente, con acini grossi, buccia spessa e pruinosa e buona attitudine per l’appassimento.
La dindarella o pelara – con il grappolo talmente spargolo da farlo sembrare pelato – regala note speziate, e l’oseleta, vecchio vitigno veronese da poco rivalutato, con acini molto piccoli e buccia tenace, dà colore e tannicità.
A questo ampio ventaglio di vitigni, sono stati aggiunti di recente sangiovese, merlot, cabernet sauvignon e franc e teroldego.
Tra i vitigni autoctoni a bacca nera presenti nelle zone centro-orientali della regione sono da citare il raboso, il marzemino e il tocai (tai) rosso.
il raboso (0.9%) è diffuso soprattutto nell’area del Piave. Il nome pare derivare da rabioso o sgarboso, per il carattere rustico e forte del vino, oltre che dall’omonimo affluente del Piave. Quasi mille ettari dedicati al biotipo raboso piave o nostrano – soprattutto nel Trevigiano e nel Padovano – danno vini di grande struttura e tannicità, profumati di violetta, marasca e more, spezie e tabacco con l’evoluzione. Esigua è invece la presenza di raboso veronese, meno ricco in acidità e tannicità, che pare nato da un incrocio spontaneo tra il raboso piave e la marzemina bianca. Nel Padovano, il raboso è conosciuto con il nome di friularo o friulara, dal dialetto frigoearo, che deriverebbe dal latino frigus, cioè freddo, come il clima all’epoca della sua vendemmia tardiva.
Il marzemino, che forse si è diffuso dal Veneto in Trentino, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, è un vitigno vigoroso e si esprime bene in climi con forte escursione termica, dove dà vini leggeri e fruttati, ma anche, a volte, vini unici come il Refrontolo Passito.
Il tai rosso è un vitigno esclusivo dei Colli Berici, nel Vicentino, che interpreta in modo diverso il terroir. Conosciuto fino al 2007 come tocai rosso per le presunte origini ungheresi, è più probabile che provenga dalla Provenza, perché si sono individuate affinità genetiche con il grenache, la garnacha, il cannonau, l’alicante e la vernaccia nera.
Le zone vitivinicole
Le Delegazioni di AIS Veneto
L’Associazione Italiana Sommelier è presente in Veneto con 7 delegazioni:
- Venezia
- Vicenza
- Verona
- Treviso
- Rovigo
- Padova
- Belluno